Articolo pubblicato anche su Investiremag.it

Definito petrolio bianco, il litio, oltre a rappresentare un elemento di unicità nel settore della transazione energetica è una variabile in grado di modificare gli equilibri geopolitici mondiali.

Si tratta di un elemento essenziale per l’elettrificazione nel sistema trasporti, in quanto una batteria agli ioni di litio può immagazzinare da tre a quattro volte più energia rispetto a una batteria al nichel-cadmio (batteria NiCd) della stessa dimensione.

Il mercato delle batterie per accumulo energetico triplicherà o quasi nei prossimi anni in termini di valore economico e toccherà i 120-150 miliardi di dollari nel 2030 secondo un’analisi condotta da McKinsey.

Come molte altre commodity, anche il litio ha subito rincari tra il 2021 e il 2022, il prezzo è aumentato di circa sei volte, incalzato dalla forte penetrazione dei veicoli elettrici in Cina e da problematiche legate all’offerta di materiali. Ma, dopo una fase di innalzamento dei prezzi nel corso del 2023, il prezzo del litio ha ri-tracciato il 60% dai suoi valori record; le ragioni sono molteplici, ma la più probabile potrebbe essere una strategia adottata dal governo cinese per eliminare la concorrenza in un settore geopoliticamente strategico, dominato attualmente dalla stessa Cina.

Il Paese del dragone è il primo raffinatore al mondo di petrolio bianco, ma considerando le scarse riserve di minerale (riserve che coprono al massimo 8% delle intere riserve globali) satura il settore per usufruire delle economie di scala, acquistando sia materiale grezzo definito spodumene, che miniere di litio.

Uno dei principali fornitori di spodumene, un minerale che contiene alluminio e litio, è l’Australia. Recentemente quest’ultima ha preferito abbandonare le scomode collaborazioni con il Paese del dragone per perfezionare reciproci e profittevoli rapporti con gli Stati Uniti.

Ad esempio, la nuova realtà mineraria Arcadium Lithium, nata dalla fusione di due aziende minerarie e chimiche attive sul mercato, ovvero l’australiana Allkem e l’americana Livent Corporation, dimostrano quanto i due Stati collaborino nel settore.

Secondo il governo di Canberra, l’Australia potrebbe conquistare una quota del 20% di tutta la produzione mondiale di litio raffinato già entro il 2027 fruendo delle partnership con gli USA; Biden e il premier australiano Anthony Albanese ne hanno discusso all’ultimo G7 in Giappone. Per gli americani, vista la stretta alleanza militare con l’Australia, ri-localizzare la raffinazione del litio in quel paese (sottraendola al monopolio cinese) è una garanzia di sicurezza per il futuro. Naturalmente il litio raffinato in Australia costerà di più, perché i salari australiani non sono quelli cinesi, e le normative a tutela dell’ambiente sono molto più rigorose. Però il costo aggiuntivo verrà in parte sopportato dal contribuente americano anche sotto forma di sussidi.

Ora l’appetito cinese abbandonata l’Australia, si concentra in Africa e in America latina (Argentina, Bolivia e Cile posseggono il 56,3% di tutti i depositi attualmente censiti nel mondo). Nel Triangolo del litio, in particolare in Bolivia e in Argentina, i giganti cinesi stanno rilevando aziende minerarie locali, mappando il territorio alla continua ricerca di nuovi giacimenti e costruendo infrastrutture necessarie alle attività di estrazione e di raffinazione del metallo. I Paesi centroamericani, tuttavia, forniscono litio anche all’industria statunitense e il diffondersi della proprietà cinese in quei terrori, viene percepito dagli Stati Uniti come una minaccia da arginare. Come risolvere il problema? Facendo pressing sui governi Cileni e Messicani, al fine di convincerli a nazionalizzare le loro industrie perché secondo gli statunitensi è preferibile trattare con i governi locali piuttosto che con aziende frammentate e piccoli produttori.

L’Europa si trova in ritardo nel settore del metallo bianco su scala globale, e ciò richiede un’azione urgente e mirata. Una possibile spiegazione di questo ritardo potrebbe derivare dall’attenzione sull’ambientalismo e dalla sindrome di NIMBY (Not in my back yield “Non Nel Mio Cortile”) in quanto le attività di estrazione e raffinazione del litio, essenziale per il settore delle batterie elettriche, possono generare impatti ambientali significativi.

Tuttavia, è essenziale comprendere che il 2050, ovvero l’anno del net zero carbon fissato dal Green Deal europeo, è molto vicino, e il trasporto elettrico giocherà un ruolo cruciale nel raggiungimento dell’obiettivo. È comprensibile l’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità, ma è importante bilanciare questo con l’urgenza di sviluppare una catena di approvvigionamento robusta e competitiva nel settore del metallo bianco, vitale per l’economia e l’industria europea del futuro. Questo però richiede un’immediata presa di coscienza e un’azione concertata per sviluppare e attuare una strategia mirata che promuova la sostenibilità senza compromettere la competitività e la sicurezza delle forniture.

Allo stato attuale, però l’Unione europea si trova dipendente dalle risorse minerarie strategiche della Cina come si trovava fortemente dipendente dall’energia russa prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Sarebbe necessario, al fine di evitare il monopolio cinese nel settore, stringere collaborazioni con Stati diversi dal Paese del dragone, pertanto Australia, Paesi Africani o sudamericani o in alternativa sfruttare i giacimenti presenti sul territorio Europeo. Ad esempio, la Germania nell’Alta Valle del fiume Reno ha individuato un giacimento di litio che potrebbe garantire una immensa quantità del ricercato metallo. La notizia è stata diffusa dalla Reuters e la stessa fonte citava stime di estrazione che potrebbe soddisfare il fabbisogno per la produzione di batterie per 400 milioni di autoveicoli.

Ma ci sono buone riserve di litio anche in Finlandia, dove è già attiva la società mineraria locale, e in Spagna nell’Estremadura. Qui, in un’area mineraria a 280 chilometri a sudovest di Madrid la società australiana Infinity Lithium parla del secondo deposito di litio di rocce più grande d’Europa e prevede ingenti investimenti nei prossimi anni.

Il Portogallo, che oggi è il primo produttore europeo di litio, vorrebbe incrementare le estrazioni anche con un piano transfrontaliero con i vicini spagnoli, mentre un altro grande impianto dovrebbe essere installato nella città portuaria di Setúbal. La parte più difficile è far accettare alle comunità locali queste nuove attività estrattive.

In Italia c’è litio? La risposta è sì, anche se non sappiamo esattamente quanto. Uno studio pubblicato lo scorso anno da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG) del CNR ha definito il potenziale per il ritrovamento di giacimenti di litio nel territorio italiano. In particolare, la fascia più promettente è quella vulcanico-geotermica che attraversa Toscana, Lazio e Campania e va dal Monte Amiata ai Campi Flegrei, dove in passato sono stati intercettati fluidi geotermici con concentrazioni di litio fino a 480 milligrammi per litro.

Ad esempio, le proteste della popolazione locale sono riuscite a far cancellare l’apertura di una miniera di litio in Serbia, al confine con la Bosnia e la premier serba Ana Brnabic pare abbia annunciato la revoca di tutte le licenze rilasciate alla multinazionale Rio Tinto.